«Perché siano svelati i pensieri di molti cuori» (Lc 2,35).
Quando mi scontro con la sofferenza, quando provo a cercare invano una ragione per il dolore che presto o tardi colpisce tutti noi, questa Parola dona senso a ciò che sto vivendo e mi permette di entrare in una dimensione di apertura nei confronti dell’altro che trasforma quella sofferenza, apparentemente solo mia, in qualcosa che è lì per servire. Quando mi sono scontrata con la sofferenza altrui, tante volte ho dovuto ripercorrere i passi delle mie personali sofferenze, ritornare ai pensieri del mio cuore, per poi cercarli e ritrovarli nell’altro, abitare e condividere fraternamente il suo spazio e il suo dolore.
C’è, però, una sofferenza dentro la quale non riesco ad entrare e non c’è esercizio o sforzo che tenga, davvero non l’ho mai provata e non posso nemmeno immaginarla: è la sofferenza provocata dalla fame e dalla vita di stenti.
L’ho incontrata, l’ho vista da vicino. Ho condiviso, per limitati periodi, la scarsità dei mezzi; mi sono scontrata con le gravi conseguenze che la carestia provoca e che fino a quel momento avrei detto impensabili. Ho sollevato tra le braccia bambini di quasi un anno con lo stesso peso che si legge sulle cullette ospedaliere dei nostri neonati prematuri, ma la fame non l’ho mai sentita davvero.
Non so se sia questa la ragione che induce, spesso, troppe volte, l’Occidente ad ignorare quella che è la più grave malattia che quotidianamente spegne vite di milioni di persone, bambini soprattutto. O se non sia il senso di impotenza davanti ad una tragedia umanitaria di dimensioni enormi che ci fa voltare lo sguardo per non lasciarci interrogare. Qualunque sia la ragione, la pretesa di questo articolo è un po’ questa: in-formarci e lasciarci interrogare dalla più grave carestia del dopoguerra che sta colpendo l’Africa, esponendo al rischio della vita 24 milioni di persone.
Per capire bene cosa significhi assenza d’acqua e carestia, ritorno a quell’esercizio di rilettura delle esperienze. Penso a quanti allarmismi generi, anche in Italia, un’assenza di piogge prolungata per diverse settimane: raccolti che rischiano di non produrre i frutti sperati con conseguente impoverimento dei contadini e di chi vive dei prodotti dell’agricoltura; innalzamento dei prezzi di frutta e ortaggi; produzioni insufficienti a coprire i fabbisogni del nostro Paese; innalzamento dei livelli di inquinamento e presenza di alta concentrazione di polveri sottili nell’aria nelle grandi città; fallimento delle stagioni sciistiche… Ma nessuno di noi teme e mai temerà di morire per fame.
In Africa l’assenza di piogge perdura da più di un anno. La mancanza d’acqua, oltre ad impedire qualunque tipo di coltivazione, unica fonte di cibo, impedisce qualunque forma di vita. Nelle regioni interessate dalla carestia non ci sono riserve adeguate di acqua e quella poca che si riesce a trovare in qualche raro pozzo o bacino non ancora del tutto asciutto è contaminata, in quanto accessibile anche agli animali per il loro abbeveramento. L’assenza d’acqua favorisce lo sviluppo di malattie ad essa legate, come la dissenteria e il colera, scatenate da servizi igienici e riserve di acqua inadeguati. La malnutrizione indebolisce il sistema immunitario dei bambini e ne compromette lo sviluppo mentale, oltre che fisico. La scarsità delle piogge genera desertificazione dei territori mettendo a rischio di vita anche la popolazione animale che non ha a disposizione pascoli dove sfamarsi. In Kenya stanno morendo per fame e sete i dromedari, noti per essere gli animali più resistenti alle zone desertiche proprio perché non necessitano di abbeverarsi spesso.
Davanti a questa emergenza sentiamo il richiamo del “Che nulla mai ti sia indifferente”? Se sì, cosa fare?
Avvolti dallo stesso silenzio che il deserto provoca, sono tante le associazioni e le ONG (Organizzazioni Non Governative) che da tempo lottano per fronteggiare l’emergenza. Prima tra tutte la Caritas le cui azioni principali riguardano: distribuzione di cibo, rifornimento di acqua, assistenza ai malati, soprattutto a quanti sono debilitati dalla malnutrizione, distribuzione di kit di emergenza, sostegno ad attività produttive e attività di promozione della pace. I Paesi d’intervento sono quelli della regione del Corno d’Africa, compresi Kenya ed Etiopia, il Sud Sudan, il Sudan (Darfur e Monti Nuba), il Madagascar, il Malawi, lo Zimbabwe, la Nigeria, il Burundi, ed altri paesi come la Repubblica Democratica del Congo, l’Uganda, il Rwanda, la Tanzania che accolgono profughi sud sudanesi e burundesi.
La crisi è ancora in corso e le necessità crescono costantemente per cui un nostro aiuto è prezioso e può davvero fare la differenza. Il costo per garantire il cibo per un anno ad un bambino che vive in queste zone si aggira intorno ai 50€, quello che può sembrarci una goccia insignificante può realmente salvare una vita. Farsi coinvolgere dall’emergenza e attivarsi per dare il proprio contributo è sicuramente un’azione importante ma possiamo fare di più, possiamo fare in modo che situazioni di questo tipo non si ripresentino ciclicamente. E questa è una responsabilità nostra, del mondo “sfamato”. Don Francesco Soddu, direttore di Caritas Italiana, sottolinea: «È indispensabile che, accanto alla risposta umanitaria, vi sia un impegno ad agire sulle cause della crisi: guerre, erosione dell’ambiente, cambiamento climatico, politiche economiche a vantaggio delle grandi corporazioni e a svantaggio dei piccoli agricoltori e delle comunità rurali».
Don Tonino Bello, il 20 agosto del 1992 sulla carestia che colpì gravemente la Somalia scrisse: «È ora di muoversi. È già scattata la catena della solidarietà e va dato atto a tanti organismi umanitari, alla Caritas in primo luogo, del coraggio con cui stanno sfidando le nostre pigrizie balneari.
Ma non vorremmo che le nostre fossero risposte date solo agli assalti emotivi, pagando il pedaggio al sentimento con l'”una tantum” di una buona offerta per i diseredati africani. La tragedia della Somalia ci obbliga a prendere sul serio uno slogan di qualche anno fa che diceva: contro la fame, cambia la vita! Convertiti, cioè metti da parte l’egoismo. Rifiuta l’idolatria del danaro. Guardati dal demone perverso dell’accaparramento. Battiti perché cambino certe leggi che regolano il mercato. Favorisci col tuo impegno l’avvento di un nuovo ordine economico internazionale». Con il richiamo a politiche economiche che non dimentichino gli ultimi, vi rimandiamo agli articoli dell’Officina del Sole sull’Economia di Comunione (li trovate qui e qui).
Teresa & Redazione In-Formazione
N.B.: dopo la stesura dell’articolo e prima della sua pubblicazione, grazie a Dio in alcune zone del Kenya è arrivata la pioggia. Tante però sono le zone ancora in stato di emergenza.
PER APPROFONDIRE
Puntata di “Siamo Noi” – Il programma di Tv2000 affronta l’argomento.
Progetto della Caritas italiana – Per un aiuto concreto.