Nell’ultimo anno si è stati costretti ad imparare i passi di una danza che muove tra zone di vario colore e che determina il ritmo, ma anche la modalità con cui varie attività sono svolte. È proprio durante questa danza che gli educatori della cooperativa Pepita, che lavorano anche negli oratori di Milano, hanno cominciato a chiedersi in che modo coinvolgere ragazzi e giovani. Attraverso Pepita Network, che mette in rete diversi oratori della diocesi, sono stati proposti e selezionati vari argomenti: alcuni ritenuti interessanti dagli adolescenti, altri dagli educatori. Tra queste anche una testimonianza dei nostri amici The Sun.
Frutto di questo interessante percorso è stata la proposta “Un passo oltre le sbarre”, nata dal confronto tra Luca Zazzera, tesserato Officina, e altri due educatori, Filippo Maroni e Alessandro Bolognesi.
Il titolo è fortemente evocativo e richiama lo sguardo verso la periferia dei detenuti e degli istituti penitenziari attorno a cui gravitano sempre forti pregiudizi, e spesso veri e propri giudizi. Il carcere lo si capisce solo quando lo si vive ed è per questo che si è cercato di dare ai ragazzi l’opportunità di guardare all’esperienza detentiva attraverso gli occhi di chi la vive o l’ha vissuta in diverse vesti.
Dal limite della zona rossa e dei divieti è nata l’opportunità di coinvolgere non solo i giovani lombardi ma anche persone fuori regione, come avvenuto nel primo incontro del 2 dicembre 2020. Lo sguardo di questo primo appuntamento è stato quello di due figure: Diego Mori e Carmen Dattoli.
Carmen è una psicologa e tesserata Officina che si occupa da anni della formazione della polizia penitenziaria presso la Scuola Di Formazione e Aggiornamento del Corpo di Polizia e del Personale dell’Amministrazione Penitenziaria di Portici.
Diego, invece, è un musicoterapeuta che ha svolto attività educativo-terapeutiche come volontario presso la II Casa di Reclusione di Milano comunemente conosciuta come carcere di Bollate, utilizzando la musica come strumento di conoscenza di sé, di relazione e di espressione.
Le loro esperienze hanno permesso ai ragazzi di avvicinarsi gradualmente ad una realtà spesso dimenticata. È stato possibile presentare l’esperienza della detenzione attraverso le dinamiche e i racconti della polizia penitenziaria che, seppur nella veste di agenti, abita gli istituti e si confronta quotidianamente con i carcerati. Così come è stato possibile incuriosirsi su cosa spinga dei giovani a scegliere di lavorare in questo ambito e cosa questa scelta possa determinare nelle loro vite. Attraverso l’esperienza di Diego, a contatto diretto con i detenuti, è stato condiviso com’è entrare in relazione con loro e com’è vissuto il contatto con qualcuno di “esterno” all’istituto. Il filo conduttore dell’incontro è stato sicuramente il riconoscere quanto detenuti, agenti e operatori esterni sono prima di tutto esseri umani, ciascuno con le proprie difficoltà e con i propri disagi, ma anche con le proprie risorse che possono essere in alcuni momenti di vita o in alcuni contesti ambientali non accessibili.
Il secondo incontro verteva sul tema del reinserimento nella società ed è intervenuto Daniel Zaccaro, un giovane ex-detenuto ora educatore presso la comunità Kayròs a Vimodrone. La sua è una storia di riscatto e rinascita. Cresciuto a Quarto Oggiaro con il sogno di diventare il Tony Manero del quartiere milanese, la sua fame di popolarità è stata soddisfatta da una carriera segnata dalla devianza e dall’influenza di questo contesto. L’esperienza del carcere e della comunità gli hanno permesso di iniziare un percorso di rieducazione ma è stato l’incontro con don Claudio Burgio, cappellano al Beccaria, a segnare la svolta.
Racconteremo presto la sua storia, stay tuned.
L’ultimo appuntamento ha avuto come ospite don David Maria Riboldi, cappellano della Casa Circondariale di Busto Arsizio. Don David iniziava questa nuova esperienza dopo undici anni in oratorio in tre diverse comunità pastorali. Con linguaggio diretto, schietto, senza mezze misure, ha condiviso con i ragazzi l’impatto che hanno avuto, nella sua vita, la realtà carceraria e i detenuti. Una realtà tutt’altro che semplice ma che ha permesso di toccare con mano l’umanità nascosta dei detenuti, le loro fragilità e di cambiare lo sguardo da giudicante a misericordioso. Don David ha invitato i ragazzi ad unirsi al canale Telegram in cui condivide esperienze e riflessioni della sua avventura in istituto (Il link per unirsi al canale lo potete trovare QUI).
I ragazzi che hanno preso parte agli incontri hanno mostrato non solo interesse con la loro partecipazione, ma hanno preso attivamente parte agli incontri facendo domande, incuriosendosi a questa realtà che sembra essere lontana dalla vita di tutti i giorni. Si sente spesso definire apatiche le nuove generazioni, senza interessi, senza entusiasmo e come risucchiate dalla rete. Questo percorso è stata l’ennesima dimostrazione che i ragazzi, i giovani, sono tutt’altro che apatici, sono piuttosto ipersensibili e trovare spunti, stimoli e modalità interessanti è responsabilità degli adulti. L’importante è andare “oltre le sbarre”, anche quelle che si creano tra generazioni diverse.
La Redazione
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