Anche noi come te,
siamo smarriti nella selva oscura.
Ma a differenza tua, non ce ne rendiamo più conto.
Avidità, ignoranza, superbia, ferocia, ipocrisia …
Le stesse bestie fanno da guardia
per impedirci la risalita verso la Luce.
S. Cristicchi, Lettera a Dante
In un periodo di grande fragilità come è il nostro tempo presente, queste parole del cantautore Simone Cristicchi colpiscono perché ci ricordano la modernità di Dante, il quale oggi ci interroga chiedendoci:
Quale speranza regge la nostra vita?
Nell’anno del settecentenario della morte di Dante Alighieri (14 settembre 1321), Papa Francesco ha voluto onorare il sommo poeta, da lui definito profeta di speranza e testimone della sete di infinito insita nel cuore dell’uomo, con la lettera apostolica Candor Lucis aeternae perché «ha saputo esprimere, con la bellezza della poesia, la profondità del mistero di Dio e dell’amore».
Dante, riflettendo profondamente sulla sua personale situazione di esilio, di incertezza radicale, di fragilità, di mobilità continua, la trasforma, sublimandola, in un paradigma della condizione umana, la quale si presenta come un cammino, interiore prima ancora che esteriore, che mai si arresta finché non giunge alla meta. Ci imbattiamo, così, in due temi fondamentali di tutta l’opera dantesca: il punto di partenza di ogni itinerario esistenziale, il desiderio, insito nell’animo umano, e il punto di arrivo, la felicità, data dalla visione dell’Amore che è Dio.
(Candor Lucis aeternae, n. 2)
La Commedia è «il viaggio nel cuore di ogni uomo che ha i suoi inferni, purgatori e paradisi» – scrisse Alessandro D’Avenia nel suo blog Prof 2.0 – «in cui ogni cantica termina parlando di stelle … ».
Il canto 34 si chiude, infatti, al verso 139 con l’espressione: “E quindi uscimmo a riveder le stelle” facendoci capire che «dall’inferno del cuore si esce volgendo lo sguardo alle stelle e che aver considerato tutto il male che si nasconde nel nostro cuore rischia di gettarci nella disperazione, ma allo stesso tempo ci apre al “desiderio” (le stelle: de + sidera, lett. scendere dalle stelle) di vedere quel male sparire, cambiare, trasformarsi».
Dante ne è stato purificato durante la salita del monte del Purgatorio, il cui verso finale (145) del canto XXXIII recita Puro e disposto a salire le stelle, e «ha compreso che il bene, per chi lo cerca, trionfa sempre».
La risposta al nostro interrogativo esistenziale giunge, quindi, con l’arrivo di Dante in Paradiso in cui vede Dio, «la fonte dell’amore che ha eliminato tutto il male che c’era nel suo cuore»:
“l’Amor che move il sole e l’altre stelle” (Par. 33,145).
Per questo motivo è davvero profeta di speranza, come chiarisce il poeta stesso nell’Epistola a Cangrande della Scala parlando del sua Comedia: «Si può dire in breve che il fine di tutta l’opera e della parte consiste nell’allontanare quelli che vivono questa vita dallo stato di miseria e condurli a uno stato di felicità» (trad. XIII, 39 [15]).
Il concetto di desiderio dantesco viene espresso da papa Francesco con le seguenti parole:
Dante sa leggere in profondità il cuore umano e in tutti, anche nelle figure più abiette e inquietanti, sa scorgere una scintilla di desiderio per raggiungere una qualche felicità, una pienezza di vita. Egli si ferma ad ascoltare le anime che incontra, dialoga con esse, le interroga per immedesimarsi e partecipare ai loro tormenti oppure alla loro beatitudine.
L’itinerario di Dante è davvero il cammino del desiderio, del bisogno profondo e interiore di cambiare la propria vita per poter raggiungere la felicità e così mostrarne la strada a chi si trova, come lui, in una “selva oscura” e ha smarrito “la diritta via”.
L’insegnante e pedagogista Franco Nembrini, introducendo tale lettera e riflettendo su questo concetto, rileva che «il problema è che il cuore umano sente come dimensioni adeguate alla propria attesa di felicità solo l’infinito e l’eterno, mentre tutte le cose di cui fa esperienza sono finite, sono limitate, vengono meno, tradiscono».
Sperimentato il buio, ci salviamo, però, grazie al nostro Padre buono e fedele, con il suo dono gratuito:
La misericordia di Dio offre sempre la possibilità di cambiare, di convertirsi, di ritrovarsi e ritrovare la via verso la felicità.
Significativi, a tal proposito, alcuni episodi e personaggi della Commedia, che manifestano come a nessuno in terra sia preclusa tale via.
Il gesto di carità di Traiano nei confronti di una «vedovella» (45), o la «lagrimetta» di pentimento versata in punto di morte da Buonconte da Montefeltro (Purg. V, 107) non solo mostrano l’infinita misericordia di Dio, ma confermano che l’essere umano può sempre scegliere, con la sua libertà, quale via seguire e quale sorte meritare.
Dante si fa paladino della dignità di ogni essere umano e della libertà come condizione fondamentale sia delle scelte di vita sia della stessa fede.
Ma la libertà, ci ricorda l’Alighieri, non è fine a sé stessa, è condizione per ascendere continuamente, e il percorso nei tre regni ci illustra plasticamente proprio questa ascesa, fino a toccare il Cielo, a raggiungere la felicità piena.
Con la gratitudine e lo stupore nel cuore per questo Dono, come il prof. D’Avenia, anche noi oggi possiamo imparare a tenere nella borsa «il necessario» per vivere: assieme alle chiavi, al denaro, al telefono, all’agenda … deve star lì Dante, perché è necessario alla vita quotidiana, fosse anche solo per la musica dei suoi versi. Nessuno come lui, che tutto perse dall’oggi al domani, ha narrato l’arte di ritrovare l’essenziale.
La Commedia sa dare luce a chi è nell’oscurità, aprire spazi a chi si sente sfrattato dalla vita.
Per questo Dante deve stare nelle tasche dell’anima: uscire dall’Inferno per andare in Paradiso, passando per il Purgatorio. Ciò parla alla vita di tutti noi e ogni singolo giorno ci chiama ad un cammino attraverso i luoghi più nascosti e faticosi delle nostre esistenze per giungere ad una gioia che conceda un nuovo sguardo di Luce nella nostra vita. (dalla rubrica Ultimo Banco n. 35 Le tasche dell’Anima)
La Redazione
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