
Il 15 agosto 2021 i talebani occupano Kabul e il (ormai ex) presidente Ashraf Ghani fugge dall’Afghanistan assieme alla sua famiglia.
Dopo 20 anni da quell’ 11 settembre 2001 i talebani prendono di nuovo possesso del territorio afghano.
Ma cosa ha dato inizio a tutto? Che ruolo hanno avuto le nazioni occidentali, i cui cittadini nei mesi scorsi hanno dovuto lasciare il territorio afghano? E ancora cosa sta facendo l’Occidente in questo momento?
Lo scopo dell’articolo non è tanto rispondere a queste domande, ma far riflettere a partire da esse, mostrando le cose da un altro punto di vista.
Cominciamo però dall’inizio, o meglio, dalla data storica che quasi tutti noi ricordiamo: l’attentato alle Torri Gemelle del 2001.
Gli obiettivi per Al-Qaida((Al-Qaida,“organizzazione terrorista fondata sul finire degli anni Ottanta del 20° sec. dal miliardario saudita O. Bin Laden per promuovere la guerriglia islamica contro l’occupazione sovietica dell’Afghanistan” (definizione tratta dall’Enciclopedia Treccani online).)) (oltre alle Torri Gemelle dove c’è stato il maggior numero di vittime) erano anche il Pentagono e Capitol Hill (bersaglio che è stato mancato in quanto l’aereo che avrebbe dovuto colpire l’edificio si è schiantato a 200 km di distanza grazie alla ribellione di alcuni passeggeri) e la motivazione data per la loro esecuzione“il coinvolgimento degli Usa in conflitti «contro i musulmani», oltre al suo sostegno a Israele”. ((“11 settembre 2001: cosa è successo (e perché) nell’attacco alle Torri Gemelle”su Il Sole 24 ore del 9 settembre 2021, di Alberto Magnani.))
Nel 2001 il presidente in carica negli Stati Uniti era George W. Bush che, dopo gli attentati, chiese ai talebani la consegna di Osama Bin Laden e la chiusura dei loro campi di addestramento in Afghanistan.
I talebani rifiutarono l’ultimatum per mancanza di prove di un collegamento tra Bin Laden stesso e gli attentati.
Il 7 ottobre 2001, in risposta, gli Stati Uniti con il Regno Unito come alleato invasero l’Afghanistan e Kabul cadde il 14 novembre dello stesso anno con la fuga dei talebani.
Il 5 dicembre 2001 l’ONU autorizzò la creazione dell’International Security Assistance Force, di cui ha fatto parte anche l’Italia, per mantenere la sicurezza in Afghanistan.
Bin Laden, colui che viene identificato come il responsabile degli attentati, morì nel 2011 in un blitz statunitense in Pakistan.
Da questo momento in poi è lecito chiedersi: perché l’Occidente è rimasto in Afghanistan?

Da una parte l’Occidente voleva aiutare nella ricostruzione un Paese provato dai conflitti e intervenire là dove i diritti umani erano negati.
C’è però anche l’altra faccia della medaglia: gli aiuti umanitari ci sono stati, ma i veri sforzi sono stati impiegati nell’esportare armi piuttosto che pace.
Secondo quanto riferito dalla scrittrice palestinese Suad Amiry al festival “I dialoghi di Trani”dello scorso anno((“Perché l’Occidente ha fallito in Afghanistan” a La Repubblica del 14 settembre 2021.)), infatti, per questa guerra lunga vent’anni solo gli USA hanno speso circa 2,26 trilioni di dollari. Nel suo intervento ha citato, inoltre, i dati forniti dal Brown University Watson Institute of International and Public Affair:“993 miliardi sono stati spesi dal Dipartimento della Difesa come budget di guerra (a spanne, 800 miliardi di dollari sono stati utilizzati per coprire i costi diretti legati alla guerra e 85 miliardi circa per addestrare l’esercito afghano ora dissolto); altri 530 miliardi sono stati versati come interessi sui prestiti di guerra; 443 miliardi sono andati al Dipartimento della Difesa; 296 miliardi sono serviti per l’assistenza medica e sanitaria di veterani e altri 55 miliardi ancora sono andati al Dipartimento di Stato!”.
Le conseguenze di questo approccio, in cui non si è investito abbastanza ad esempio nell’istruzione o nel sostegno agli afghani che credevano nell’uguaglianza e nei diritti delle donne né si è contrastata la corruzione ai vari livelli di funzionari civili e militari, si sono viste nell’estate del 2021: i talebani sono riusciti facilmente e velocemente a riconquistare le città intorno a Kabul.
Cosa può fare ora l’Occidente?
Partendo dal presupposto che ci sia la volontà di aiutare, come sottolinea lo storico Agostino Giovagnoli,i Paesi occidentali dovrebbero intessere un dialogo con governi lontani dalla propria sensibilità, rispettando le inevitabili differenze tra i popoli.
Sul lato immediatamente pratico bisognerebbe attivarsi nell’accogliere i profughi afghani. Tuttavia già il 31 agosto nella “Dichiarazione sulla situazione in Afghanistan” del Consiglio Giustizia e affari interni, l’Unione europea e i suoi Stati membri si sono pronunciati in merito, impegnandosi “ad agire congiuntamente per evitare il ripetersi dei movimenti migratori illegali incontrollati su larga scala che si sono verificati in passato”.
Sarebbe un bel segnale, invece, aprire corridoi umanitari per i profughi afghani: programmi di trasferimento rivolti a persone fuggite dai loro Paesi, che permettono di richiedere asilo in Italia attraverso vie legali e sicure. Il progetto è nato nel 2015 dalla collaborazione tra Federazione delle chiese evangeliche in Italia, Tavola valdese e Comunità di Sant’Egidio per permettere in due anni a 1.000 profughi siriani, fuggiti in Libano, di raggiungere il nostro Paese su un normale volo di linea.
Inoltre come Europa sarebbe utile rivedere le politiche migratorie, nonché creare delle alternative agli hotspot greci, come più volte ripetuto dal presidente della Onlus Still I Rise Nicolò Govoni.
Parallelamente si dovrebbe puntare, piuttosto che esportare i propri modelli, a far progredire valori universali in un’ottica di una nuova e più ampia cooperazione internazionale.

Nel fare tutto questo, tuttavia, è necessario avere ben presente la storia del Medio Oriente e di quel luogo definito la “porta dell’Asia” centrale, il crocevia fra Oriente e Occidente. A causa della sua posizione strategica, infatti, sin dall’Ottocento l’Afghanistan è stato al centro degli interessi geostrategici delle più grandi potenze del sistema internazionale.
Le influenze esterne, che in più occasioni hanno preso la forma dell’occupazione militare (si è liberato, per fare un esempio, dall’Impero coloniale britannico solamente negli anni venti del secolo scorso per finire successivamente sotto il controllo sovietico), oltre alla sua estrema frammentazione etnica hanno compromesso le capacità di un governo centrale di controllare l’intero territorio nazionale ostacolando la formazione di un apparato amministrativo omogeneo e funzionante.
Sono passati, però, molti mesi dalla presa di Kabul e, come succede spesso nel nostro mondo frenetico, si parla sempre meno di tali problematiche e l’attenzione viene spostata su altre questioni.
Il rischio è che, ancora una volta, ci si dimentichi di questi esseri umani che, solo perché nati in Paesi in guerra, muoiono nel tentare di attraversare i confini per arrivare in altri Paesi dove sembra che non importi molto di loro.
Ciò che ognuno di noi può fare nel proprio piccolo è non essere o rimanere indifferente.
Si auspica che l’uomo un giorno imparerà finalmente dai propri errori e che il vento diffonderà una nota di speranza:
Ancora tuona il cannone
Ancora non è contento
Di sangue la belva umana
E ancora ci porta il vento
E ancora ci porta il ventoIo chiedo quando sarà
Che l’uomo potrà imparare
A vivere senza ammazzare
E il vento si poserà
E il vento si poserà
La Redazione