Cari amici,
vi proponiamo un’intervista con ospite Nicola Gandolfi, missionario laico di Parma che da oltre 20 anni vive in Madagascar («Il Madagascar non è solo un’isola, i Naturalisti lo considerano l’Ottavo Continente del Pianeta grazie alla sua ricchezza di animali e piante!», fonte Tsiryparma).
Quarantaseienne, Nicola è il fondatore di TsiryParma, un’associazione di volontariato finalizzata alla protezione delle foreste e all’insegnamento della salvaguardia di quest’ultima alle popolazioni del Madagascar (da cui il nome della sua associazione dalla commistione delle parole “Tsiry” che significa “piantine” nella lingua nativa del Madagascar e Parma, la città natale di Nicola).
La sua storia è straordinariamente semplice e allo stesso tempo semplicemente straordinaria!
Non anticipiamo nulla di più, buona lettura!
Da dove nasce la tua scelta di lasciare tutto qui in Occidente e trasferirti in Madagascar?
Penso che più che una scelta sia stato un percorso. Un percorso che è iniziato a 22 anni quando ancora stavo facendo l’università ed è nata in me l’esigenza di fare un’esperienza di 2 anni di volontariato in Africa. Il Madagascar è venuto per caso, non sono stato io a sceglierlo.
A 26 anni, alla mia seconda laurea in scienze forestali, si è realizzato il mio sogno di fare la tesi di laurea sull’albero di palissandro con cui avevo già avuto contatti nella mia esperienza malgascia precedente. Sono partito, dunque, per la seconda volta e tutto è girato stupendamente al meglio perché potessi raccogliere i dati e realizzare il mio lavoro su questa specie minacciata di estinzione che ancora oggi cammina con me, essendo le sue foglie ed il fiore il logo della nostra associazione Tsiryparma.
In seguito, con l’incastro di diverse circostanze favorevoli, sono arrivati i primi finanziamenti per avviare un piccolo progetto per la realizzazione di vivai finalizzati alla moltiplicazione degli alberi di palissandro. Da quel momento (2006, ndr), è stato un continuo crescendo di attività e raccolta di fondi per promuovere al meglio le attività di gestione di vivai e di aiuto alle comunità locali per la tutela della foresta. Nel 2010 è arrivata Nirina, mia moglie, e nel 2011 e 2013 i miei due bimbi, Manu ed Erica.
Non ho mai scelto di lasciare tutto e di andarmene in Madagascar, piuttosto di concretizzare quello che avevo raccolto in Italia durante i primi anni della mia vita. Una laurea in scienze naturali e una in scienze forestali non potevano trovare sbocco migliore che nel cuore di una foresta naturale qui in Madagascar. Non mi sono mai trovato a mio agio nell’utilizzare gli strumenti della modernità come il cellulare, l’automobile, la lavatrice, il frigo oil boiler; il Madagascar mi ha aiutato a trovare la mia dimensione senza sentirmi un “pesce fuor d’acqua” poiché, qui, è la normalità il non possedere tutti questi beni! on ho mai pensato di trasferirmi in Madagascar, piuttosto ho cercato di trovare la mia dimensione in modo tale che potesse star bene sia il mio spirito che il mio corpo
Com’è cambiata la tua vita da quando sei arrivato in Madagascar?
In Italia si sta troppo bene e forse quel “troppo” non riusciva a stare dentro al mio piccolo “io”.
Traboccava fuori e mi faceva stare male. Qui in Madagascar non ho più provato quel disagio, perché il bene era contenuto in una misura di sobrietà e impegno che non mi faceva mai pesare quello che stavo facendo.
Quando ancora frequentavo la scuola, ricordo di avere vissuto la sensazione, in Italia, , di alzarmi d’inverno, con il freddo, imbottirmi di vestiti di lana, uscire ancora con il buio, tra i brividi e la pigrizia di affrontare tutto quel mondo. Tutto ciò mi arrecava un profondo stato di disagio: Il pensiero di avere una vita dettata dalle lancette di un orologio per non arrivare tardi al posto di lavoro è stato sempre uno dei miei piu grandi incubi.
Non ho più vissuto tutto questo da quando sono qua. Mi sono costruito io la mia vita seguendo le mie esigenze e ho scoperto poi, nel tempo, che tutto ciò collideva anche con la felicità delle persone che venivano coinvolte nelle nostre attività e soprattutto generava frutti positivi per la foresta. Come potevo non essere soddisfatto potendo portare avanti ciò che amo e tanto più arrecando un grande beneficio sia al prossimo che all’ambiente naturale?
Come è organizzata la tua giornata? E quali sono i compiti che svolgi per Tsiryparma? Tra i tuoi collaboratori ci sono persone malgasce?
È estremamente vario il modo con cui posso organizzare la mia giornata qui in Madagascar: non ci sono tabelle di marcia da rispettare. Oggi posso andare in ufficio a scrivere un progetto, domani posso piantare alcune piante e dopodomani recarmi nel cuore della foresta naturale per immergermi nelle nostre origini.
Certamente ci sono dei doveri inderogabili da adempiere ma sono impegni che non mi pesano; infatti, si configurano come un contorno necessario per far andare avanti il tutto così da divenire rilassanti e piacevoli!
Per me Tsiryparma è contemporaneamente come un figlio e come un padre. È come un figlio perché l’ho creato io. È come un padre perché è lui che mi dice cosa devo fare. I miei collaboratori sono tutti malgasci. Stipendiamo ad oggi 5 tecnici, 18 vivaisti, 3 insegnanti e tantissimi altri operai che lavorano occasionalmente. Io sono il “responsabile” di tutta questa struttura. Il mio lavoro svaria dalla stesura di progetti, al mantenimento dei rapporti con i vari partners del progetto, fino al piantare direttamente gli alberi in loco. Dobbiamo saper fare di tutto in questo paese perché se si blocca o si rompe qualche cosa e non ci si sa sbrogliare si rischia di doversi fermare.
Concretamente, come riuscite a trasmettere ai contadini e agli abitanti della zona in cui operate, l’importanza della salvaguardia della foresta?
Io solo in un comune di 8 mila abitanti. Come potevo scardinare quel meccanismo che si auto-alimentava da tempo? L’ignoranza e la povertà inducevano queste persone a tagliare e bruciare la foresta.
Il fatto che le persone di maggior rilievo all’interno della comunità si comportassero in quel modo portava tutta la popolazione a muoversi di conseguenza.
Al contempo, l’energia che acquisivo ogni volta che mi recavo in quella zona era più forte della delusione stessa. La strada c’era, quella era la mia missione… e non ero solo! Tutti noi siamo in continua conversazione con Nostro Signore per quello che riguarda il cammino che dobbiamo percorrere. Possiamo ascoltarlo o possiamo chiudergli la porta in faccia e andare avanti da soli. Ma se ci lasciamo trasportare da quella conversazione invisibile che è dettata dall’amore, dal rispetto per quello che ci circonda difficilmente potremo sbagliare nel fare le nostre scelte. C’era una foresta da salvare e c’era della gente che aveva fame.
Dopo 13 anni la stessa salita (che porta al comune fuori dalla valle di Vohidahy, ndr) la percorro guardandomi intorno, pensando a come migliorare gli impianti idrici che portano l’acqua all’ospedale ed ai villaggi, a come riparare le chiatte per l’attraversamento del fiume, come migliorare la struttura delle diverse scuole e, perché no, ricerco anche i mezzi al fine di costruire un nuovo ospedale per permettere a quelle persone di avere cure più dignitose. La salvaguardia della foresta dipende da queste cose. Non si tratta di un compromesso, ma si tratta di avere un minimo di dignità per vivere e per poter anche avere le forze per rispettare quello che c’è intorno a quelle persone. La foresta è importante per noi, come è importante la dignità di quelle persone.
E anche se un abisso separa la nostra e la loro dignità, loro si accontentano di quello che hanno e dei piccoli passi che facciamo insieme ogni giorno!
Come si fa in concreto a far crescere una foresta? E in particolare la foresta pluviale autoctona, vale a dire sostenibile?
La foresta è un ecosistema estremamente complicato, formato da un’infinità di relazioni tra animali e vegetali che s’intrecciano sia nel sottosuolo sia nell’ambiente aereo. Non è possibile per noi replicare questa immensa biodiversità. La nostra azione più incisiva consiste nel cercare di salvare quello che già esiste: è molto più facile evitare di distruggere la foresta che non farla rinascere!
Per questo motivo il nostro sforzo principale consiste nel cercare di dare agli abitanti della zona una alternativa alla distruzione della foresta.
Piantiamo caffè e vaniglia al margine della foresta per scoraggiare gli incendi che hanno come finalità quella di aumentare la superficie coltivabile; tentiamo di arricchire la foresta naturale con specie di piante a legno pregiato minacciate d’estinzione, per favorirne la propagazione; sensibilizziamo e formiamo la popolazione locale a realizzare nuovi rimboschimenti, a sviluppare l’apicoltura e tutte le attività che sono in sintonia con l’ambiente forestale e che possono portare nuovi redditi. È anche vero che noi lottiamo contro piccoli poveri contadini, da noi non c’è il problema di multinazionali. Ci sono poi i funzionari corrotti dello Stato e qualche avido e ignorante trafficante di legno che invia squadre di boscaioli a rubare il legno di palissandro. Tutto questo procede con alti e bassi secondo la gravità o meno della situazione politica interna del paese.
Come è nata la vostra collaborazione con Treedom?
Se da un lato il nostro primo obiettivo è quello di evitare ulteriori distruzioni alla foresta, dall’altro è molto importante piantare nuovi alberi e Treedom in questo ci sta dando un enorme aiuto! La collaborazione con Treedom è arrivata da un contatto “di un amico dell’amico”. Sono stati loro a contattarci e, dopo un periodo di conoscenza, hanno constatato che avremmo potuto essere un buon partner per realizzare dei rimboschimenti che coinvolgessero i contadini locali e per la salvaguardia della foresta naturale. Dopo 3 anni dall’inizio della collaborazione, ad oggi, abbiamo all’attivo 28 vivai in tutta la regione, piantiamo all’incirca 80.000 piante all’anno con il coinvolgimento di circa 700 contadini.
Ci puoi dare un messaggio conclusivo?
Ora anche la mia famiglia possiede il frigo, la lavatrice e il boiler. Non si può sfuggire al progresso quando ce lo si può permettere. E allora il nuovo compromesso deve essere l’utilizzo sensato, gratificante e parsimonioso di quello di cui possiamo beneficiare, nella consapevolezza che molte persone vivono ancora senza questi beni.
A proposito di ciò, una grande contraddizione nella quale spesso incappiamo noi occidentali, è quella di poter chiedere di non distruggere la foresta, poiché serve all’intera umanità, dimenticando il fatto che siamo stati noi i primi a produrre inquinamento su scala globale e che la nostra impronta sull’ecosistema è ancora pressante e importante. Sostenere progetti come il nostro, si potrebbe vedere come un’azione di “compensazione” ma io direi piuttosto di “buon senso”, in modo tale da poter trovare un po’ di pace nelle nostre coscienze e permettere a tutti di vivere dignitosamente e nella gioia.
Ringrazio tutti quelli che si stanno impegnando in Italia a favore di Tsiryparma e dedico a loro queste mie parole, perché la mia esperienza possa essere testimonianza della nostra gioia. Perché senza ognuno di loro non avremmo potuto realizzare tutto ciò!
GUARDA IL VIDEO del progetto di riforestazione: www.youtube.com/watch?v=u9tiJT_rj0A
La Redazione
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