GRIDIAMO LA PACE!

Durante l’estate abbiamo vissuto il bel momento delle Olimpiadi, storicamente segnate dalla tregua da ogni conflitto. Purtroppo questa volta così non è stato. Inoltre, per noi il 2024 è un anno importante: 10 anni fa in Terra Santa è stata vissuta la prima esperienza di “Un invito poi un viaggio” in cui è nata Officina del Sole. Per l’attuale situazione non è stato possibile ritornare in quei luoghi molto amati. Siamo rimasti e cerchiamo però di continuare a rimanere vicini ai nostri fratelli in altri modi, soprattutto attraverso la preghiera.

Nel 2015 il singolo di lancio dell’album dei The Sun “Cuore aperto” è stato Le Case di Mosul”, una canzone che tuttora ci commuove e fa nascere in noi molte domande.

“Dove è l’amore? La compassione? La verità?

 La distinzione tra bene e male?

Nessuno risponde,

Ma io credo in Te.”

“Io credo in Te, e in te: ogni uomo Giusto vissuto e vivente su questo pianeta ci sta dicendo Io credo in te! È la chiamata alla nostra natura più alta di uomini” scriveva sul suo blog Francesco Lorenzi nel presentare questo brano. E in un modo che potrebbe sembrare paradossale vorremmo interrogarci su questo partendo da un classico “inno alla guerra”: l’Iliade omerico. In questo mondo epico che sembra così lontano dai nostri giorni ascoltiamo (l’Iliade è un insieme di canti frutto della tradizione orale) di moltissimi eroi appartenenti ad una casta guerriera votata al sangue. Essi vivono sospesi in un presente interposto tra il glorioso passato dei loro avi, di cui devono mostrarsi degni, e un lontano futuro, nel quale continueranno a vivere attraverso il ricordo dei loro discendenti. Hanno perciò un’unica alternativa: quella tra essere ricordati in eterno o cadere nell’oblio. Ed è la promessa dell’eternità a muoverli. Nonostante si combatta e si muoia per contendersi il corpo di un eroe caduto, con nessun’altra prospettiva se non quella di diventare a propria volta cadaveri sui quali cadranno altri corpi senza vita; trovano spazio, e risaltano per contrasto, piccoli squarci di luce che offrono uno stupendo controcanto. I suoi stessi protagonisti ne riconoscono l’orrore: pur non potendo evitare il baratro verso il quale si sono gettati, prendono coscienza della sua assurdità, gridandogli contro il loro disperato “NO”.

Un no che arriva fino a noi, per ricordarci che la guerra rimane un’aberrazione e alla fine si rivela per quello che è: un non-senso, un folle istinto di autodistruzione.

E forse mai come ora, abbiamo bisogno di riascoltare quei “no”.

L’eroe per antonomasia Achille è anche il primo renitente alla leva per l’affronto subito da Agamennone. La sua ira è causata da una questione d’onore, ma quando incontra gli ambasciatori, inviati per convincerlo a tornare a combattere, accanto all’orgoglio ferito del grande guerriero vi è la presa di coscienza di uomo che ha iniziato a fare i conti con se stesso e ha deciso di rivedere le sue priorità.

“Niente, per me, vale la vita […]
la vita d’un uomo, perché torni indietro, rapir non la puoi e nemmeno afferrare,
quando ha passato la siepe dei denti” (IX 408-409)

Il suo è un ragionamento assolutamente razionale; la morte di Patroclo, però, con il suo carico di dolore e senso di colpa, lo getterà in uno stato di lucida follia, che lo riporterà ad essere ciò che è sempre stato: una perfetta e inarrestabile macchina da guerra, totalmente impermeabile a qualsiasi sensazione umana. Vorrà soltanto consumare la sua vendetta e consumarsi in essa, inondare la terra di sangue e annegarci, vittima di se stesso. Nell’Odissea (altro poema epico attribuito a Omero), quando Ulisse scende agli Inferi e incontra Achille, lo elogia per la sua fama, quest’ultimo però gli risponde che è meglio essere l’ultimo dei vivi che il primo dei morti.

“Della morte non parlarmi, glorioso Odisseo.
Vorrei essere il servo di un padrone povero che pochi mezzi possiede,
piuttosto che regnare su tutte le ombre dei morti.” (XI 488sgg.)

Ettore, avversario di Achille, invece, sa di non poter evitare il suo destino e accetta il ruolo che gli è stato assegnato (“perché ho appreso a esser forte”) ma non ha alcuna remora nell’ammettere che ne avrebbe fatto volentieri a meno. Come tutti gli eroi desidera la gloria e alla fine morirà invocandola, anche se il suo vero obiettivo è rimandare il più possibile l’esito finale di un conflitto che, inevitabilmente, trascinerà nel baratro anche la moglie Andromaca e il figlio Astianatte.

Egli è l’unico eroe omerico che non vive per combattere, ma combatte per vivere. Mentre, infatti, Achille e Agamennone si contendono Briseide come un trofeo da esibire, Ettore ama teneramente la sua sposa e dichiara apertamente di anteporla alla sua patria, ai suoi regali genitori e ai suoi fratelli. Sono due, però, gli incontri maggiormente spiazzanti in questo poema.

Sul campo di battaglia pronti ad affrontarsi, ci sono Diomede e Glauco che invece rinunciano a battersi in nome di un’antica amicizia tra i loro rispettivi antenati e per onorare quell’antico legame scendono da cavallo, si stringono la mano e si scambiano le armi.

Com’è possibile tutto ciò, quando pochi istanti prima erano due perfetti sconosciuti pronti ad uccidersi a vicenda?

Tutto inizia da una semplice domanda: “Chi sei?” da parte di Diomede che stupito per il coraggio di Glauco, che non esita a farglisi avanti, gli chiede di presentarsi. Glauco, per tutta risposta, gli narra con orgoglio le gesta del suo illustre antenato Bellerofonte. Questa sembrerebbe una parentesi del tutto inutile, e anche illogica, considerando che il dialogo avviene tra due nemici durante una battaglia.

Che senso ha perdersi in convenevoli? Cosa significa per Diomede conoscere la storia degli avi di un nemico tra tanti?

In realtà questo cambia tutto perché anche Diomede ha una storia, degli avi a cui rendere omaggio e quando ricorda a Glauco che il suo antenato Oineo era stato ospite di Bellerofonte, il sacro rispetto che ciascuno dei due guerrieri deve alla propria stirpe si impone nell’animo di entrambi. E da quel momento non sono più nemici.

La tua storia è anche la mia ed è questa è la vera essenza della pace.

Achille, infine, uccide Ettore (uccisore di Patroclo), ma la conclusione dell’Iliade non è il trionfo dell’eroe sul nemico. Vi è un ultimo fondamentale incontro: quello tra Achille e il vecchio re Priamo, padre di Ettore, che prostrato davanti a lui gli chiede indietro il corpo devastato del figlio per dargli sepoltura. E “in quel momento Achille si trova davanti alla verità: la guerra è solo la costruzione di una identità apparente, basata sulla violenza che divide il mondo in oppressi e oppressori, per smania di autoaffermazione (il potere dà la dolce illusione di esistere di più), come ha svelato Simone Weil nel suo libro sull’Iliade, mentre la grandezza dell’uomo è nella pietà: un padre che si umilia per avere indietro almeno il corpo del figlio.”  (citazione da questo articolo )

Ricordarsi questo ogni giorno ci rende più eroi, nel senso originario della parola che significa semplicemente “uomini”. E come ci ricorda Alessandro D’Avenia, professore e scrittore, “per essere pienamente uomini o donne ci vuole la qualità che si è saldata alla parola eroe: il coraggio. Quello di rispondere di noi stessi, intervenendo nella realtà grazie a una forza interiore che ci abita (desiderio) e ci spinge a essere un «mai prima d’ora e mai più dopo». Questo rende ogni persona eroe/eroina: insostituibile. Una vita compiuta è quindi una vita che prova a rispondere a una chiamata: che cosa puoi essere e fare solo tu? Gli antichi lo chiamavano destino, ciò che il fato decide per te, io preferisco destinazione: una libera risposta a ciò che la vita offre.” (altra citazione ) 

Un augurio a tutti noi, perché possiamo ogni giorno vivere pienamente adempiendo alla nostra vocazione e fare memoria che l’unica vittoria è sempre restare umani.

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